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«..Capegli leggiadri di co-

lore e con finita pulitezza sfi-

lati e condotti…» raccon-

tava Giulio Romano al Va-

sari, riferendosi a uno dei più

affascinati capolavori del Cor-

reggio, la

Danae

, oggi con-

servato allaGalleria Borghese

di Roma.

L’opera raffigura una delle

quattro storie delle Meta-

morfosi d’Ovidio con gli

Amori di Giove

, commissio-

nata tra il 1530 e 1531 da

Federico II Gonzaga di Man-

tova quale dono prezioso per

Carlo V, oltre alla

Leda

(oggi

a Berlino), a

Io

e al

Ratto di

Ganimede

(entrambi aVienna)

Il mito greco racconta che

Acrisio aveva rinchiuso la

bellissimo figlia, Danae, in

una caverna sotterranea e che

per questo l’astuto Giove

aveva dovuto trasformarsi in

un’aurea nuvola per pene-

trare attraverso le pareti e se-

durre così l’irraggiungibile

amata. Tramutato in piog-

gia d’oro, viene accolto da

Amore e Danae, mentre gli

eroti (l’uno, con le ali, Amor

celeste e l’altro, senza, Amor

terreno) provano con una pie-

tra da orafo la qualità metal-

lica della punta della freccia

amorosa che ha trafitto la gio-

vane.

La pacata vaghezza della Da-

nae correggesca, nel suo de-

licatissimo erotismo, è nella

descrizione pittorica davvero

consona alla donna che fece

sussultare il cuore degli dei,

anche se l’interpretazione

dell’ambiente in cui si col-

loca la scena si allontana dal

mito per assumere colori e

“architetture mantovane”.

Dalla finestra di fianco, in-

fatti, si intravede un paesag-

gio sfumato e leggero e un

edificio che i critici leggono

come «la palazzina incom-

piuta di Federico II Gonzaga

aMarmirolo», ricorda Gian-

franco Ferlisi.

UnaDanae la cui fisicità dolce

e femminile èmolto evidente:

è in attesa, supina, pronta a

offrirsi totalmente al suo dio,

che pure è nascosto, che non

vede poiché il suo sguardo è

rivolto al lenzuolo, l’ultimo

velo che Amore, seduto sul

bordo del letto, unico inter-

mediario con il dio verso cui

è rivolto, sta per toglierle.

Sopra di lei la nuvola d’oro

di Giove domina il quadro e

al tempo stesso lo sfugge,

scriveGregorioBotta. Lame-

tamorfosi del dio è al vertice

della scena ma, pur potenza

assoluta resta invedibile, il-

leggibile agli occhi terreni.

Forse per questo Danae non

alza gli occhi al cielo: non è

malizia, né pudore. Forse solo

inconsapevolezza: l’unica che

nei miti può rendere possi-

bile l’unione di eros terrestre

e celestre.

Certo è comunque che Da-

nae è ad attendere Giove non

in una grotta, ma nel man-

tovano, su uno sfondo, come

quello della tenda damascata,

che riporta all’origine corti-

giana del dipinto. Il pittore

dunque illustra l’attimo che

precede il predestinato con-

nubio da cui trasse divina ori-

gine l’eroe Perseo.

Era consueto in quel tempo

che bramosie e prodezze

d’amore fossero immortalate

da metafore mitologiche in

grado di risvegliare convin-

La Danae del Correggio

n° 313 - gennaio 2004

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Direttore Responsabile

Lucia Aleotti -

Redazione, corrispondenza

: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze -

www.fondazione-menarini.it

Correggio: Danae - Roma, Galleria Borghese